Semplice, almeno a parole!
Se tutto intorno a noi cambia, se a evolversi e mutare sono i mercati, i consumatori e pure i nostri competitor, è chiaro che un brand, e di conseguenza la sua strategia di branding, non possono rimanere immutati nel tempo.
Il rischio?
Perdere una necessaria aderenza alla realtà, rischiando di non essere più in grado, con la propria immagine, di comunicare in modo efficace al target di riferimento, di differenziarsi dai competitor, rimanendo impressi nella mente dei propri clienti.
Tuttavia, di qualsiasi entità sia l’intervento sull’immagine aziendale, che si tratti di un rebranding proattivo o reattivo, evolutivo o rivoluzionario, a non poter mancare è sempre un pensiero strategico.
Ogni cambiamento comporta dei rischi e può risultare destabilizzante. Per questo è sempre necessario fondare ogni progetto su una base analitica solida, che metta chiaramente in luce le reali esigenze del brand in questione e, partendo da esse, crei un progetto in grado di rispecchiare a pieno la filosofia aziendale e le motivazioni che hanno condotto al rebranding.
Pena il mancato riconoscimento, da parte del target, dei motivi dietro al cambiamento e il conseguente rifiuto della nuova immagine, cosa successa anche a brand di successo come GAP.
I motivi per intraprendere un processo di rebrading possono, infatti, essere molteplici e ciascuno di essi può condizionare l’approccio creativo al progetto.
Alcuni sono legati a fattori interni all’azienda e a cambiamenti che lei stessa sta attraversando, come l’apertura verso nuovi mercati o pubblici, fusioni o acquisizioni con altre realtà, altri invece sono legati alla percezione da parte del target, che interessano più come un prodotto o un brand vengono vissuti dal pubblico, spesso in contrasto con le aspettative aziendali.
Come dicevamo, infatti, il mondo esterno non è una realtà statica: cambiano i trend, cambiano i temi rilevanti per ciascun settore, e cambiano i gusti in fatto di grafica, le tendenze, con il rischio, se non ci si evolve, di essere percepiti troppo “anni ‘80, ‘90, ‘2000”: insomma poco evoluti e moderni in termini estetici e contenutistici.
Difficile credere che un giovane scuola di danza, nata solo 3 anni fa, abbia già necessità di un rebranding?
Non se a cambiare è l’identità stessa della scuola e la sua offerta e non se, la maggior consapevolezza di sé come “impresa”, porta alla luce una serie di limiti nella propria immagine.
Partiamo proprio da qui.
Alla sua nascita, Dance On sceglie di rappresentarsi in modo abbastanza comune per il settore di riferimento. Il suo logo rappresenta una ballerina in una posa classica, alla sbarra, il colore rosa – nell’accezione di un fucsia carico – ha lo scopo di connotare una femminilità che, nelle intenzioni, strizza l’occhiolino a un target femminile.