Abbiamo pensato più a come chiamarlo, che a fondarlo! Perché se il progetto di mettere insieme competenze eterogenee per dare vita a uno studio che si occupasse di comunicazione, eventi e grafica ha da subito messo entrambi d’accordo, la scelta del nome ideale ha seguito strade più tortuose.
In effetti, scegliere un buon nome è tutt’altro che scontato, soprattutto quando si tende a dimenticare che, parlando di naming, il focus della questione non è tanto il “sì, mi piace” ma l’ “ok, funziona”. Si tratta di unire all’indispensabile estro creativo un rigore tutt’altro che scontato. Quella del naming, infatti, è una disciplina complessa, che intreccia fonetica, semiotica e marketing.
Ed è proprio una di queste tre discipline che ha ispirato la nostra scelta, complice – lo ammettiamo – una laurea in Semiotica che ti segna per sempre.
Scherzi a parte, nel nome “Ornitorinco Studio” c’è tanto di noi e questo, senza dubbio, è un buon punto di partenza. Poter essere uno specchio dei valori, delle qualità e della personalità di chi lo porta, è un punto imprescindibile per un buon nome. Ed è così che abbiamo scelto l’ornitorinco e non (solo) per quel suo essere indiscutibilmente un animale strano, tanto da essere – per alcuni – l’evidente risposta (affermativa) alla domanda “Dio avrà il senso dell’umorismo?”. Abbiamo scelto l’ornitorinco perché è un mix, bizzarro senza ombra di dubbio, ma perfettamente funzionante, di caratteristiche provenienti da specie e classi animali diverse. Un po’ anatra, un po’ castoro, girano leggende sulle proprietà salvifiche del suo latte e su un reale pericolo per coloro che si volessero contendere il territorio con un esemplare di sesso maschile. Tiratevi indietro, quindi, se voleste competere con uno di loro: gli ornitorinchi sono teneri solo all’apparenza.
Tornando alla citata Semiotica, l’idea di chiamarsi Ornitorinco Studio ha un’origine più seria di quello che si potrebbe pensare. In “Kant e l’ornitorinco”, celebre saggio di Umberto Eco, pietra miliare del suo percorso filosofico, l’ornitorinco è l’emblema della crisi del quadro categoriale dell’epoca settecentesca. Un mammifero che depone uova e che, solo nel 1884, dopo controversie e discussioni durate ottant’anni tra chi lo voleva mammifero (e negava le uova) e chi lo voleva oviparo (e disconosceva le mammelle e il latte), si stabilirà appartiene alla categoria dei monotremi, che sono mammiferi e ovipari. Curiosa questione, certo, che Eco vede come ottimo spunto per confrontandosi con i nodi fondamentali della filosofia di ogni tempo, da Aristotele a Heidegger, discutendo i problemi dell’essere, della verità, del falso, del riferimento, della realtà, dell’oggettività della conoscenza e della congettura.
Così, per noi, che certo non possediamo l’acume del grande Eco, l’ornitorinco è qualcosa di forse meno complesso: il simbolo dell’impossibilità di chiudere il mondo, la vita e la storia dentro categorie rigide, nella certezza che ogni esistenza sia meravigliosamente unica. La stessa unicità che, unita alla capacità di mixare elementi eterogenei per dare vita a qualcosa di nuovo, all’incapacità di accontentarsi per spingersi a fare sempre meglio, più ci caratterizza. Due stili, due caratteri e due personalità completamente differenti ci distinguono l’uno dall’altra e ci rendono – a nostro modo – unici. E se siete arrivati fin qui, forse questo è proprio quello che stavate cercando.